25 aprile 2008

25 aprile

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo ?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento


25 aprile.

Di fascismo che ritorna sempre più forte, mascherato nei suoi colletti bianchi. Di memoria che vacilla, sparite ormai le esperienze condivise (che si diventa troppo vecchi e stanchi di parlare a chi non ha tempo di ascoltare).

Di resistenza. Voglio ricordare la popolazione greca di Dominikon. In 150, il 16 febbraio 1943, furono trucidati dalla crudele rappresaglia italiana alla lotta di liberazione greca.

E Resistenza è stata anche quella di Reggio Emilia, luglio 1960, resistenza a un fascismo che cercava, già allora, di sdoganarsi.

La via verso la libertà è lastricata di martiri. Lo sanno bene i palestinesi e la loro interminabile resistenza all’annientamento.

Poche parole, qui. Ne gireranno molte altrove. Ma due poesie voglio pubblicarle: Quasimodo, in tema, Alle fronde dei salici, e Giulio Stocchi sul dramma palestinese, La madre.

Anche la poesia è resistenza. Al declino del mondo. Si oppone a ogni muro, a ciascuna delle possibili divisioni, con la sola forza della parola. Gli oppressori non sono mai poeti.


Ahi
figlio
figlio
figlio
che ti porto sulle braccia
e che i tuoi anni mi pesano
figlio
come tre spade d'assenza
per ferirmi il cuore
figlio
che t'hanno spezzato
perché io più non veda
la primavera del tuo sorriso
figlio
e dolcemente prendere forma
il tessuto promesso dei giorni
figlio
figlio

che t'hanno strappato
per lasciarmi
fra i nodi della notte
muta e senza sonno
figlio
che per nove mesi
ci siamo parlati
tu confidandomi
i tuoi segreti d'acqua
ed io
la terra del futuro
figlio
che tutto intorno
è fuoco e maceria
e fumo
e urla
figlio
che ti porto
sulle braccia
ahi
figlio
figlio
figlio
e con tre spade d'assenza
in fondo al cuore
Perché questo silenzio
che ti posa sulle labbra
come una farfalla di gelo?
E i tuoi occhi
che guardano tanto lontano
dimmi
quale eterno minuto
vanno inseguendo?
Morto!
Morto!
Morto!
Il mio bambino
la mia gioia
la mia speranza
lui che era nato piccolino
ma come un albero
per crescere verso il cielo
per vedere e per conoscere
e secondo il suo destino
andare per le strade del mondo

il mio bambino
guardate
guardate il mio bambino
e la sua vita
sparsa nella polvere
con tutti i suoi tesori
Morto!
Morto!
Morto!
Datemi fame ed artigli
datemi vento ed ali
datemi la tempesta ed il grido
datemi spine e datemi rovi
datemi vetro e metallo
datemi coltelli e datemi chiodi
datemi tutto ciò che squarcia
datemi tutto ciò che morde
datemi tutto ciò che lacera e che strappa
datemi denti e datemi unghie
che dovunque possa inseguire
e sbranare
e dissanguare
e divorare
le bestie
che dal fondo della notte
hanno portato via per sempre
il mio bambino
Morto!
Morto!
Morto!
Con la fronte spaccata
del mio bambino
scendi
scendi Palestina
e le sue mani spente
come due colombe di cenere
scendi
con gli occhi fissi
del mio bambino
scendi Palestina
vestendo tutta l'ombra
della sua morte
e le ferite
con cui lo costrinsero a morire
scendi

scendi
gli infiniti gradini
scendi Palestina
fino al luogo
dove il dolore
è un unico fiume
con due fiamme e coltelli
E su quelle rive
abbandona la pietà
e ritta in mezzo alla terra
torna
torna Palestina
torna con l'incendio
che brucia e distrugge
torna
e senza più pietà
torna ritta in mezzo alla terra
torna Palestina
e con tutte le radici del fuoco
del fuoco
del fuoco
e io grido fuoco
perché il figlio che era mio
il mio bambino
la mia gioia
la mia speranza
oggi è morto
guardate
che me l'hanno ucciso
ed è morto
morto
morto!
Ma dove?
Dove?
Dove?
Popolo di stella e fucile
e mio figlio dov'é?
popolo di ritorno e di passi
e mio figlio dov'é?
popolo mio che mai non muore
e mio figlio dov'é?
Camminando
camminando
camminando
Dalle regioni dell'ombra

verso la luce infinita
che ci attende
camminando
da esilio a orizzonte
camminando
e da destino a ragione
camminando
con i vivi camminando
e tutti i morti insieme
camminando
perché nessuno resti indietro
camminando
camminando

figlio mio
che più non senti
camminando andremo
tu
con lo stupore ancora
negli occhi
del mondo
che non t'hanno lasciato
ed io
per non stancarti
recando il tuo peso
sulle braccia
camminando andremo
fino ai confini della terra
che da sempre ci appartiene
Solo allora
ai piedi degli ulivi
che guardano il fiume
solo allora
figlio mio
che più non vedi
ti deporrò
baciandoti in fronte
e con tutte le tue domande
accanto
perché l'erba
i fiori
l'albero e gli uccelli
ti rispondano in eterno
con l'alfabeto loro
innumerevole del vento


Ascoltare
Gaetano Liguori. Cantata Rossa per Tall El Zaatar, Radio Popolare

Immagini
Muro che divide Israele e Palestina


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Terra...
elinflowers...
ti ricordi di me?
Sono tornata... :')
E ti ho ritrovato, se sempre qui...
Passa a trovarmi :)
http://elinflowers.splinder.com/

Rodolfo Marotta ha detto...

Certo che mi ricordo di te e sono contento di esserci ritrovati. Verrò sicuramente a trovarti, stai sicura. Un abbraccio, per ora.