25 gennaio 2008

Chesil Beach

Chesil Beach, ovvero dell’impossibilità di comunicare, paradigma McEwaniano. Basterebbe ricordare i precedenti romanzi del nostro, a cominciare dal fortunato Espiazione.

Comunicare quello che si ha/che si è dentro.
E abbiamo l’incapacità delle parole, la tirannia delle convenzioni.
Un altro argomento ricorrente nella narrativa di Ian McEwan è la musica, qui incarnata nell’attività e nelle aspettative di vita di Florence Mayhew, la protagonista femminile del romanzo, valente violinista.

Così l’amore, seppur dichiarato con convinzione, si perde, schiacciato dal macigno del taciuto, e ciò che i due amanti si dovevano dire resta non detto.
La storia si svolge nel 1962, nell’Inghilterra puritana del conservatore MacMillan ma le difficoltà sessuali dei protagonisti, Edward e Florence, impegnati nella loro prima notte di nozze, sono solo un pretesto utile a versare sulla scena l’imponenza di un muro i cui mattoni sono la mancanza di identità dei protagonisti, lui compreso nel ruolo e doveri del maschio nonostante l’ansia da prestazione e la paura dell’ignoranza e inadeguatezza che sente verso quel misterioso continente che è il sistema comportamentale dell’altra, la donna. Lei, caracollante tra i necessari e richiesti doveri e la paura e lo schifo che sente verso quel corpo estraneo e quelle pratiche sporche a cui dovrà necessariamente sottoporsi.
Ma l’ignoto che quei corpi rappresentano è, in realtà, la metafora della solitudine a cui siamo condannati.
Né lo studio della Storia, per Edward, né la musica nella quale eccelle in bravura, per Florence, sembrano essere valide soluzioni alternative alla necessità della parola, unico mezzo capace di dare senso alle nostre vite di astronauti della solitudine. Ma la parola necessaria non alberga nel grappolo fitto del rumore verbale e la sua ricerca richiede fatica intellettuale e coraggio, quelli la cui mancanza priveranno Edward e Florence del loro diritto a una vita felice.
Nei romanzi di Ian Mc Ewan si avverte sempre un senso di ineluttabilità degli avvenimenti e l’impossibilità di espiare gli errori, il senso inderogabile dello scorrere del tempo lungo un solco privo di singolarità. Nessun perdono è possibile, nessun replay.
Il romanzo si chiude con un impeto nostalgico che coglie il narratore nello scorrere il futuro dei due giovani protagonisti.

Se pensava a lei si stupiva un po’ di aver lasciato andare via quella ragazza col violino. Ormai ovviamente sapeva che la sua proposta di tenersi in disparte era piuttosto pretestuosa. Le occorreva soltanto essere certa che lui l’amasse, sentirsi rassicurare sul fatto che non esisteva nessuna fretta, avendo un’intensa via davanti. Amore e pazienza, ah, se solo non se li fosse scoperti in tempi diversi, li avrebbero di certo aiutati a superare ogni cosa. E allora chissà quali figli mai nati avrebbero avuto la loro occasione, quale meraviglia di bambina con la fascetta nei capelli sarebbe diventata il suo tesoro di casa. Ecco come il corso di tutta una vita può dipendere… dal non fare qualcosa. A Chesil Beach, Edward avrebbe potuto richiamare Florence, o seguirla. Non sapeva, e nemmeno avrebbe voluto scoprirlo, che correndo lontano, sicura, nella sua disperazione, di essere sul punto di perderlo, Florence non si era mai sentita tanto innamorata e sgomenta, e che il suono della sua voce l’avrebbe raggiunta come una salvezza, che si sarebbe senz’altro voltata. Edward invece era rimasto impassibile nel suo silenzio virtuoso, in quel crepuscolo estivo, a guardarla correre via sulla spiaggia, mentre lo sciabordio delle piccole onde copriva il rumore dei suoi passi faticosi e Florence si riduceva a un punto sfocato in fuga sull’interminabile rettilineo di ciottoli sfavillanti nella luce fioca.

[Ian McEwan, Chesil Beach]


Bibliografia:
Ian McEwan, Chesil Beach, Einaudi 2007

Discografia:
Beatles, One, Emi

Immagini:
Fotofrafie di Gianni Berengo Gardin


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