14 novembre 2007

Parole, Ruggio, Seclì

Bilancia d'acqua

passarsi la spugna lenta tra il collo e il braccio
magari con la sottana trattenuta ai fianchi
chiudere gli occhi e appendere il profumo al cervello
farne un fatto d'atmosfera un'altalena sospesa a fil di cielo
la solitudine versata nella durata lunga del mare
nell'acqua che sciaborda.
già mia madre mi teneva così
raccolta e appesa nella bacinella trattenuta da due sedie
con le labbra che soffiavano le sue mani insaponate.
già mia madre mi teneva così
già sapevo la bilancia d'acqua
la distanza eterna e rarefatta
di esserci, creatura di grazia, senza stare.

[Ilaria Seclì]

Le parole sono dei contenitori di significati. Le congeliamo troppo spesso in significati stantii e meriterebbero di essere plasmate, riscaldate bagnate dal nostro coraggioso bisogno di comunicare. Riscoprire le mille sfumature della parola, riscattarla dalla paralisi alla quale si sta riducendo.
Una parola è come un ceppo di legno grezzo all’attenzione della nostra pialla; chiede lavoro di sgrassaggio, rifinitura, riscatto a nuova vita.
La parola è unità minima di trasmissione dei concetti, elemento basilare del comunicare. Ma essa è ambigua poiché non si può codificare attraverso un semplice fonema la complessità di un concetto, la profondità di un pensiero.
La sua ambiguità si esprime attraverso la poliedrica gamma di significati e sfumature che la caratterizzano, legati alla storia dei popoli, alle loro culture, all’ambiente in cui si vive.
Ecco, allora, che la parola assurge al ruolo di estrema parabola dell’incomunicabilità umana.
Parole, quelle di due donne salentine.

Afra è un romanzo di Luisa Ruggio che parla di donne e di sud. Di donne del sud, dell’impossibilità di amare e di realizzarsi. Parla della condizione femminile come condizione di eterna attesa di qualche ritorno mancato.
Ed è anche una storia ciclica; ruota intorno a uno spazio fisso, la tenuta di Afra, in un luogo geografico metafora di tutto il sud.
Ruota intorno a un oggetto, una piccola Bibbia tra le cui pagine passano vite e amori e un biglietto misterioso con la sua frase sibillina: “Ritorna da me, come il colore azzurro della sera”. E ruota, nel gravitare di cinque donne intorno a un universo maschile che esprime la fragile autorità del padrone, il desiderio di fuga del figlio e la presenza assente del cugino musicista, tre figure che riassumono, nella loro incapacità di amare, l’impossibilità definitiva di vivere attraverso l’amore.
Ammiro lo stile di Luisa Ruggio. Una scrittura impressionista che usa le parole proprio come le pennellate di Renoir, procedendo per tocchi, sussulti, brevi impressioni fino a dare corpo alla storia. Una scrittura che sa suscitare i sensi, anche. Ti immerge in odori e sapori capaci di richiamare la “sensazione” di essere nella scena anima e corpo, almeno chi, quelle fragranze, sa riconoscerle.

Il prodigio della parola lo affondo agli occhi. E alle mani. Bocche.
[Ilaria Seclì]

Bibliografia:
Ilaria Seclì, D’indolenti dipendenze, Besa 2005
Luisa Ruggio, Afra, Besa 2006

Immagini:
Lavoro di cartapestai leccesi

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie, semplicemente.

Luisa

Rodolfo Marotta ha detto...

Santi numi! (come dici tu...)
Se avessi immaginato che saresti venuta a leggere avrei cercato di essere più ruffiano.

Anonimo ha detto...

ciao , io e Luisa ci siamo incontrate diverse volte e spero di rivederla, perché no? E tu?

Rodolfo Marotta ha detto...

Ciao, Milena, mi era quasi sfuggito il tuo commento.
Di sicuro passerò qualche giorno in estate. Da ora ad agosto non ho nulla in programma, ma questo non vuol dire che non possa fare una scappatina. Ho intenzione di fare delle fotografie...
In questi giorni ho un sacco di impegni. Tutti di carattere ludico. Fondamentalmente sono sufficientemente infantile da preferire il gioco alle cose serie.
Ciao. A presto (spero) e un bacio (che non fa mai male)