07 luglio 2007

Appunti salentini #2

La prima volta fu negli anni settanta. Fine anni settanta.
Un artista che subiva il travaglio di una nuova nascita, segnata dal distacco dalla placenta delle tele e dei colori ad olio per spiccare il volo verso un mondo nel quale egli stesso fosse opera d’arte. Lui, col suo corpo.

Vito Mazzotta, aiutato da un amico fotografo, documentò il tragitto implodente dell’uomo verso la terra madre e la nuova rinascita in una performance teatrale e fotografica che chiamò Uom(o)volapietra.
Era l’uomo che tornava a nascere, uovo, dal grembo della terra, elemento iniziale e finale del ciclo umano.
La concettualizzazione a cui il
Mazzotta giunse era affascinante assai e le foto documentavano bene il rapporto tra quel corpo e la madre terra che lo accoglieva, quelle forme di carne che ad essa si adattavano fin quasi a sparire, fino a diventare parte intima della terra.

La prima volta fu negli anni settanta. Perché alcune di quelle foto furono scattate in una vecchia, ormai abbandonata, cava di bauxite a sud di Otranto, verso la Palacia. In quelle pieghe di terra rossa, di sangue puro, il corpo dell’artista si distendeva assecondandone le curve per esserne fagocitato.
In questa mia breve vacanza salentina sono successe due cose.

La prima.

Ho appreso dalla televisione che quella vecchia cava di bauxite è diventata meta turistica. Visitatori da ogni luogo si inerpicano sui suoi pendii per annientare lo sguardo verso quell’esplosione di colori intensi che, come fuochi d’artificio, fuggono rapidi dal verde intenso del laghetto sul fondo al rosso sangue dei declivi, passando per un azzurro senza eguali. Vi ho portato moglie e figlie che non la conoscevano.

La seconda.

Uscendo dalla Liberrima ho visto, seduto al tavolino del Caffè, in Corte dei Cicala, proprio lui, il Mazzotta. Ci siamo salutati, mi ha parlato della sua prossima performance, di come abbia liberato l’Uomo dal giogo dell’arte, rappresentato dal Prigioniero michelangiolesco, facendolo divenire opera d’arte esso stesso.
Mi ha parlato del suo carteggio con il maestro
Emanuele Severino e permesso di sfogliare il catalogo della sua opera omnia, pubblicato da Manni. Campeggiavano, insuperate, quelle foto della fine degli anni settanta e il rosso sangue di quella cava di Otranto.
Ho capito che il suo tempo si era fermato nel posto più bello.

Bibliografia
Odore di terra, viaggio poetico attraverso il Salento, Marina Manieri, Terra degli Ulivi

Fotografia
1 Uom(o)volapietra di Vito Mazzotta (V. Mocavero)
2 Particolare cava (tR)
3 Otranto (tR)


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Strano credevodie sser già passata di qui a commentare!
Lo vedo spesso qui il Mazzotta, abitiamo nello stesso paese, riconosciuto in Italian Sud Est, ma non sapevo tutto questo. Grazie terrarossa ;)

Rodolfo Marotta ha detto...

Su questo blog, Milena, copio i post degli altri miei tre blog, in attesa di trasferirli su questa nuova piattaforma, cosa ormai imminente, credo.
Magari sei passata sull'altro blog dove, fra l'altro, scrissi di lui vari mesi or sono...
Vito Mazzotta lo conosco da tempo ma la mia stima per lui è moderata. Ne ammiro molte cose ma altrettante mi infastidiscono.
Tu sei vulcanica nei tuoi blog, mi fai mancare il fiato;-)