26 marzo 2008

Chanson Triste

La fantasia è l’ingrediente fondamentale di ogni creazione. Ma più che la fantasia ci vuole la mancanza di pudore per scrivere delle canzoni, come anche per fare un quadro. Ecco, si tratta di scoprirsi, di raccontare sé stessi. La fantasia ce l’abbiamo tutti, la mancanza di pudore forse è un privilegio, comunque è qualcosa che uno deve coltivare con disciplina [Francesco De Gregori]

Scopami qui, ora! Voglio essere scopata su questo prato, sotto questo cielo. Voglio che mi scoppi il cuore di felicità.

Sessanta chilometri da percorrere e il desiderio di una corsa in macchina, in un pomeriggio qualsiasi, fino a quel luogo appartato e silenzioso, incastonato tra le colline astigiane.

L’inizio, con quelle note tirare in un piano espressivo, con l’archetto che indugia nel vibrato estenuante, è quello della Chanson Triste di Pietr Illyich Tchaikovsky

Nel piccolo parcheggio c’è solo una motocicletta e la capannuccia adibita a posto ristoro conta pochissimi avventori. Un altro ritorno e il ricordo che corre a vent’anni prima, il giorno della scoperta: il meleto era in fiore proprio come oggi, lo stesso immobile azzurro di allora. Avviandosi lungo la sterrata racchiusa tra due file di cipressi che in una doppia curva sfiora l’abbazia e si arrampica, tra meli e vigna, raggiunge la sommità della collina da dove lo sguardo può esplodere nell’avvolgente azzurro di un cielo incombente.

La musica di Tchaikovsky si dilata in una risonanza perfetta con lo spazio aperto delle risaie privo di confini spazio-temporali. La macchina in corsa sembra fondersi tra musica e spazio infinito.

Il prato che gli appare davanti all’improvviso, degrada dolcemente a valle. Lo stesso prato sul quale amò, tra cielo e terra, in quel giorno di vent’anni prima e che ora, mentre lo guarda sentendosi attraversato contromano dalla sua lenta parabola, lo trascina, con sorda malinconia, in un tempo che ormai non esiste se non in sé stesso.

Il violoncello spegne la sua musica con una nota suscitata da un pianissimo che va a tuffarsi, perdendosi, nel silenzio mistico del luogo.

Letture
Cesare Pavese, La luna e i falò, Einaudi
Laura Bosio, Lestagioni
dell’acqua, Bompiani

Musica
Pietr Illyich Tchaikovsky, Chanson Triste, opera 40 numero 2

Immagini
1- Abbazia di Vezzolano (R. Marotta)

2- Bassorilievi all’interno dell’abbazia (R. Marotta)
3- Io (A. Marotta)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

cIAO rODOLFOOOOOOOOOOOOOOOOOO

Rodolfo Marotta ha detto...

Milena!
Non urlare che mi svegli tutti;-)

Anonimo ha detto...

uhmmm che dici Rodolfo....non è mica che avrò perso totalmente il mio pudore da che dal 2005 ho cominciato a vergare la rete??
è colpa delle poesie, non mia però...da che mi fermai un attimo per respirare mi saltarono via dal cappello....mentre correo tra l'erbetta.
Vispa Iry :P
Un buon lunedì!

Rodolfo Marotta ha detto...

In effetti, Irene,
al di là di tutte le fesserie che ho scritto in questo post, la questione veramente centrale è proprio la frase di Francesco De Gregori, la gestione, a volte buona a volte meno, del nostro pudore. Ce lo giochiamo tutti un po'...