03 ottobre 2007

Dall'altra parte del mare

-Ditemi, non avete mai nostalgia? A cosa pensate quando la mente torna verso casa?
Davanti a Joseph comparvero i volti di Susanna e dei bambini. La fattoria di Canajohaire. Molly.
-Al respiro di mia moglie, di notte, accanto a me. Alla pelle dei miei figli. Agli odori. Profumo di mirtilli nel bosco lungo il fiume, mais abbrustolito e sciroppo d'acero. Odore di buone cose nell'emporio di mia sorella.
Warwick sembrava sul punto di piangere, -Se appartenessi a un posto differente da questo, anch'io avrei nostalgia. Vi confesso di provare qualcosa di molto simile, alle volte. Nostalgia dell'ignoto, del non visto, del non immaginato. Nostalgia delle vite altrui che hanno incrociato la mia. [Manituana]

Nostalgia dell’orizzonte marino, quella che provo io, la stessa, in qualche modo, di quella sentita tra le pagine del romanzo. Nostalgia di mondi sconosciuti che mi coglie immancabilmente ogni volta che lo sguardo si perde oltre lo spazio del mare.
E’ l’America, che nel racconto dei Wu Ming comincia a prendere la sua forma di grande nazione. E’ l’altra parte del mare. E anche il romanzo ha un respiro denso di traversate oceaniche, scoperta di altre sponde ed altri mondi possibili.

Il fascino della sponda opposta, quel misterioso altrove che aleggia nella nostra immaginazione e che pensiamo appena oltre la linea dell’orizzonte marino, può essere disvelato da un’improvvisa tramontana invernale o intravisto dalla fantasia di un bambino che guarda un paesaggio marino illustrato.
Il mare trascende la storia, è elemento astorico per eccellenza: allontanandosi dalla costa, quando la linea di terra quasi scompare, odori, visioni e sensazioni primordiali ci avvolgono. Sono gli stessi che coglieva l’uomo del neolitico sulla sua canoa, Pericle nella sua triremi o Colombo dalla Santa Maria. Perché, se la terra è preda di trasformazioni inaudite, capaci di renderla completamente diversa da ciò che era appena pochi decenni prima, il mare si nega ogni trasformazione e conserva il tesoro primigenio del pianeta.
Eppure, l’uomo moderno ha modificato il suo rapporto col mare: l’aspettativa dell’incontro che esso suscitava è diventata paura del diverso. Le nuove invasioni barbariche arrivano dal mare e così, la bambina portoghese non guarda più l’orizzonte, l’angoscia prende il posto della curiosità e ogni onda contiene in sé un dramma mortale. L’incontro non è più sentito possibile. Il mare nostrum è diventato mare monstrum.
La questione meridionale ha avuto inizio quando l’Italia si è protesa verso l’Europa alla ricerca di un miraggio di ricchezza, del senso del suo futuro, girando le spalle al suo mare storico, violentando quell’indole che fin dalla morfologia geografia si abbracciava stretta a quel mare di civiltà antiche la presenza delle quali si può avvertire per ogni contrada dei molteplici sud mediterranei.

In questo frammento di riflessioni sul senso del mare ho usato ricordi e citazioni varie.
Ho ricordato mio padre pittore dilettante che si cimentava in improbabili paesaggi marini davanti ai quali esercitavo la mia fervida immaginazione di bimbo.
Ho ricordato le fredde giornate di tramontana tagliente e di cielo terso di un azzurro indicibile che rivelavano all’orizzonte le montagne d’Albania quando la terra delle aquile era null’altro che un luogo dell’immaginario più che un reale luogo geografico e quel rivelarsi alla tramontana salentina era come un’affermazione di esistenza al mondo intero.
Ho citato un interessante saggio di
Tonino Perna sul modello di sviluppo italiano privilegiante l’aggancio padano all’Europa e la rinuncia alla millenaria tradizione marinara che hanno contribuito a rendere marginale il ruolo italiano nell’area mediterranea.
Ho citato un articolo di
Piero Magnabosco che indica il mare come legame e la terra come proprietà. Contrappone l’indivisibilità del mare, la sua irriducibilità a qualunque confine, con la divisibilità e riducibilità entro confini della terra.
Ho citato, ovviamente,
Francesco Guccini.

Bibliografia:
Wu Ming, Manituana, Einaudi 2007
Carta Etc, rivista agosto/settembre 2007

Fotografie:
Le fotografie che accompagnano questo post sono di Mario Cresci

Discografia:
Gian Maria Testa, Da questa parte del mare, Fandango 2006

7 commenti:

Rodolfo Marotta ha detto...

Mario Cresci è un fotografo dell'antropologia, o, meglio, un antropologo della fotografia;-)
Gian Maria testa, col bellissimo album citato nel post, ha vinto, quest'anno, il premio Tenco.
Gli articoli citati sono su Carta Etc di agosto/settembre 2007, numero monografico sul Mediterraneo.
Scusatemi, ora, ma devo andare a mangiare. A dopo.

naima ha detto...

mi hai fatto venire in mente la forza ferma eincrolalbile dei pescatori marocchini, l'unico gruppo sociale che, anche negli strati più giovani, si sente legata al mare e alla cultura (ed economia) che gli si sviluppa attorno.

Sono gli unici che non vedono il futuro senza speranze.

Credo sia a causa della loro unità con il senso del mediterraneo.

Ciao, Terra, grazie dell'ospitalità.

Rodolfo Marotta ha detto...

Non conosco la storia dei pescatori marocchini. Il Mediterraneo ha uno strano destino: è nient'altro che un lago con due emissari, gibilterra e suez. Eppure è uno specchio d'acqua che divide anzichè unire. Fin dai tempi delle crociate. Forse, tutto è dovuto a quella pesante contrapposizione religiosa che lo ha caratterizzato. Ho sempre visto Otranto come l'emblema di questa separazione di popoli. E' una perfetta metafora con la vicenda di Akmet Pascià. Ancora oggi, il centro storico di Otranto è disseminato di proiettili sparati dai cannoni turchi nel 1480, sono lì usati come elemento decorativo, dissuasori per automobili, basi per colonne. Ma, forse, il loro scopo principale è quello di memoria storica della grande frattura. E percorrendo la litoranea adriatica salentina, laddove il braccio di mare si fa stretto, come a Punta Palacia o Porto Badisco, percepisco ancora un forte senso di confine di civiltà che l'uomo moderno dovrebbe cercare di superare anzichè, come al contrario sta facendo, amplificarlo ulteriormente.

Anonimo ha detto...

Sei stato davvero prezioso! Fortuna che mi hai corretto e ho provveduto a rimediare subito :-) Spero cmq che tu abbia potuto apprezzare il contenuto malgrado l'errore del nome...
Buone cose. franco

Rodolfo Marotta ha detto...

Newkid, è grave che tu abia sbagliato il nome della Forleo. E' grave per i significati che questo comporta. Leggendo il tuo blog ho capito che tu hai seguito, in qualche modo, le vicende della Unipol ma sei rimasto concentrato sui nomi di D'Alema e Fassino. Suppongo che li abbia ritenuti parte lesa, nel contesto, a prescindere. Ora mi fa piacere che tu abbia aperto gli occhi.
Ti saluto

Anonimo ha detto...

Io questa cosa qui la provo a Villa San Givanni, quando rimango a contemplare la (una delle) mia Patria elettivea sull'altra sponda!

La striscia di mare, però, divide in modo asolutamente differente quando vado, rispetto a quando torno!

Ciao D

Rodolfo Marotta ha detto...

Dici, Diego?
Non sono sicuro. Otranto ha una ferita aperta da 500 anni che butta ancora sangue. Ci sono tracce per le strade e c'è chi dice che se guardi l'orizzonte riesci ancora a vedere le galere con la mezzaluna sulla linea dell'orizzonte. Quella ferita divide due civiltà, oggi come allora, due civiltà in conflitto che si guardano a 70 km di distanza.