24 luglio 2007

Note necessarie



Amo la fotografia in bianco e nero per la sua capacità di rappresentare la complessità del reale con due soli segni: il colore bianco e il colore nero.

Note necessarie, si intitola una biografia in forma di intervista di Enrico Rava.
Note necessarie come quelle reclamate da
Joao Gilberto, (Suona solo le note necessarie. Le altre, cerca di non suonarle…) o quelle suonate da Miles Davis, senza bisogno di reclamarle.
E’ affascinante l’idea di ridurre la creatività all’essenziale poiché nell’essenziale è racchiusa la bellezza del mondo. Via tutti gli orpelli inutili, dunque, tendere al cuore delle cose.

La seduzione è tutta nella dialettica tra l’idea complessa e la sua rappresentazione semplice, fulminea, pura. Le conchiglie di Weston esprimevano con efficacia, agli occhi di Tina Modotti, questa dialettica erotica, la musica di Davis, così pura, lineare, di note necessarie, appunto, rimanda a una linea a volte femminile, sempre intima, segreta.
Quando poi il segno (la complessità semantica) si riduce ulteriormente, come nel caso delle fotografie di Mario Giacomelli, ecco che si viene proiettati in un mondo fatto di sogni e poesia, eppur reale, in ogni caso, per quanto il reale possa essere sancito dalla fotografia.

Provo un fascino particolare per le opere di Lucio Fontana, i suoi tagli, documentati con efficacia dalla fotografia di Ugo Mulas che, nell’occasione, ricorse a una finzione, una messa in scena teatrale: il taglio netto che il taglierino infliggeva alla tela, seppur repentino, scaturiva da un parto doloroso del pensiero del pittore che in esso concettualizzava la sua identità di artista rispetto all’opera d’arte. Fontana amava compiere quel gesto e il relativo momento preparatorio, che poteva durare ore, in assoluta solitudine e non era disposto a farsi riprendere da chicchessia. Mulas fu costretto a metterlo in posa, col taglierino in mano, prima davanti a una tela integra, successivamente davanti a una sua opera, intento a simulare il gesto.
Si può comunicare la verità ricorrendo alla finzione o meglio, alla sua rappresentazione. Non è forse quello che fa l’arte?

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie delle visite da me. Anch'io, inoltre, amo le note necessarie.

Pippi ha detto...

"Si può comunicare la verità ricorrendo alla finzione o meglio, alla sua rappresentazione. Non è forse quello che fa l’arte?".
Assolutamente sì. Io di fotografia mi intendo poco, pochissimo, ma quanto tu dici sull'"essenzialità" io lo trasferirei anche alla "scrittura" che quanto più è scabra e in bianco e nero, tanto più affonda nella realtà regalando squarci di verità, secondo me.

Rodolfo Marotta ha detto...

Giulia, sto leggendo un libro molto bello,Leggere Lolita a Teheran.
Una professoressa universitaria iraniana, in pieno regime e in clandestinità, decide di invitare alcune studentesse, tutte donne, di varia estrazione, tutti i giovedi a casa sua per discutere del romanzo di Nabokov, interdetto dal regime. Si parla di Letteratura, di libertà, di tirannia, di donne e uomini. Emerge poco a poco, il ruolo liberatorio della letteratura come unico appiglio per riscattarsi dalla disperazione. Molto consigliabile.
bye

Rodolfo Marotta ha detto...

Gaia, ho inserito i feeds del tuo blog al lato, se vedi, parla bene di jazz, in modo inusuale e interessante. Meno male che ti ho scovata. Poi dicono che il jazz è musica da uomini...

Pippi ha detto...

Grazie del consiglio. Ciao.

Anonimo ha detto...

Non necessario dirti
invece della tua SINESTESIA concettuale

Rodolfo Marotta ha detto...

Vuoi dire, Milena, che metto tutto in uno stesso calderone e giro giro il cucchiaio fino a farne uscire fuori una poltiglia informe?

Anonimo ha detto...

No, intendo un modo di "guardare"alle cose che ti fa sentire attraverso tutti i sensi.
Oppure si, ma che le rigiri in un modo giusto, completo, a 360°. Ecco ! ;)

Anonimo ha detto...

E le 'troppe note' dell'Amadeus di Forman? Un bacio, grazie di esserti ricordato.

Rodolfo Marotta ha detto...

Ecate,
fermo restando che una come te è indimenticabile,
il mio rapporto con la musica classica (quella cosiddetta eurocolta) e con quella di Mozart in particolare, è quantomai conflittuale. Io cito Miles Davis, non Mozart. Banalizzando, infatti, potremmo sostenere che il jazz afroamericano sta alla musica eurocolta come l'oralità sta alla scrittura. Infatti, nell'europa della rivoluzione industriale e dell'avvento della borghesia, il compositore è come uno scrittore, l'esecutore è come il libro, l'ascoltatore è come il lettore. Le note, in una composizione eurocolta, sono quelle che il compositore ha scelto di mettere una tantum e restano fisse, immutabili. Sia che il compositore abbia mirabilmente azzeccato un equilibrio sublime, sia che abbia fatto una cazzata, il metodo conserva comunque un filo sottile di deprimenza.

PS Se mi vuoi ancora bene, aggiorna il link di terrarossa a questo sito, grazie.
Ciao