10 luglio 2007

Alexander von Schlippenbach

Un’interessante intervista ad Alexander von Schlippenbach, questo mese su Musica Jazz.
Gli argomenti topici sono
Thelonious Monk, la Globe Unity Orchestra, il rapporto tra musicisti europei e americani.

La Globe Unity Orchestra è una grande orchestra multinazionale la cui musica è totalmente improvvisata. Nata nel 1966, ha avuto un periodo di crisi negli anni ’90 ma in questo ultimo periodo, grazie anche all’innesto di linfa nuova tra le sue fila, sembra aver ripreso l’antico vigore.
Thelonious Monk è stato, per Schlippenbach, un faro la cui luce ha illuminato la traiettoria del musicista tedesco ed altri come Misha Mengelberg e Steve Lacy, dall’inizio ad oggi, senza sosta.
Schlippenbach dice che lui e i colleghi si muovono dentro lo spirito di Monk che, pur essendosi mosso nell’ambito di una musica legata ai dettami del blues, con quel peculiare senso del ritmo e quelle inaspettate variazioni armoniche ha saputo rendere quella musica speciale. L’influenza di Monk sui pianisti è stata, quindi, più incisiva e discreta di quanto non lo fu quella di Coltrane sui sassofonisti che, seppur molto più vasta, si è prestata a una generalizzata banalizzazione che ha portato, qua e là, alla perdita di quella serietà e profondità del linguaggio musicale del genio di Hamlet.
Poi c’è quella parola magica: jazz.

Schlippenbach sostiene che il legame tra gli improvvisatori europei e la New Thing è che i primi hanno cominciato laddove i secondi sono giunti, anche se dal punto di vista strettamente musicale, tecnico, differenze non ce ne sono.

“Mi ritengo un improvvisatore europeo ma ho imparato a improvvisare suonando jazz: per questo continuo a usare il termine “jazz”.Il mio approccio rimane quello di un jazzista. Citando la mia amica Irene Schweizer, anch’io potrei dire: se non ci fosse stato il jazz non sarei diventato un musicista”.

E ancora:

“C’era un forte impeto ottimistico fra i musicisti della mia generazione riguardo alla nostra musica, e c’era anche il tentativo di sottrarre qualcosa al mercato della musica, fondando cooperative, festival mirati, rassegne e case discografiche. […] in Europa continua ad esserci più autogestione che negli Stati Uniti. Comunque, nel mondo, non c’è mai stato tanto free jazz come oggi”

Una mia considerazione al margine: credo che il jazz, negli USA, per come l’abbiamo inteso negli anni passati, è in crisi. C’entra la maggior omologazione sociale e la parziale attenuazione della conflittualità sociale tra bianchi e neri. Riferendomi all’intervista a Max Roach, direi che è venuto meno il forte riferimento alle radici africane. Amen.
L’intervista a
Schlippenbach è stata raccolta da Libero Farnè.

Bibliografia:
Musica Jazz luglio 2007
Ekkehard Jost, Free Jazz, Epos 2006

Fotografia:
Claudio Casanova


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ascolto Hendrix ma mi incuriosici,No, Terrarossa, fuori dal ruolo, che ci danno o che più o meno ci siamo dati, fuori dalle immagini, dalle etichette,non siamo noi neanche qua dentro perché restiamo chiusi, intrappolati nei nostri valori. Forse il coraggio è uscire da qui. Comunque è nel gruppo che ci si sperimenta davero, e qui parlo di formazione e di psicodramma, dove questa presa di coscienza si fa bruscamente e dove la parola d'ordine è: ACCETTARE.
In un certo senso la tua amica Paola ha ragione ;)

Rodolfo Marotta ha detto...

Paola