27 maggio 2007

Lee Friedlander

Lee Friedlander è nato a Aberdeen, Washington, nel 1934. La sua tecnica sposa il bianconero, senza tentennamenti.
Le sue foto sembrano un puzzle di elementi di una scena distrutta, sezionata e poi rimessa insieme dalla fantasia del fotografo. In realtà, quella scena era già, al momento dello scatto.
Friedlander si contrappone a Cartier Bresson. Quest’ultimo agisce dall’esterno, nel tentativo di isolare l’istante dal fluire continuo del tempo, Friedlander irrompe sulla scena, la determina.
Proprio questo “atteggiamento” impone una riflessione sul fare fotografia. Sicuramente, senza di lui non sappiamo cosa sarebbe diventato Mulas, per esempio.
Dice Mulas:

Mentre fotografavo a New York e mi guardavo in giro, nella casa di Jim Dine mi ha sorpreso una piccola fotografia incorniciata, dove si vede l’interno di una camera, probabilmente di un albergo, con un televisore acceso e la faccia sorridente della presentatrice. La camera è vuota, non c’è nessuna presenza se non quella mediata dal televisore. Continuavo il mio lavoro e ogni tanto pensavo a quella fotografia, al senso che aveva quello che andavo facendo se quella foto aveva effettivamente un senso.[1]

Questo è l’incontro di Mulas con Friedlander. Ugo Mulas è colpito dalla consapevolezza del fotografo americano di quella che è un’operazione fotografica, di come il fotografo sia interno a questa operazione e di come questa consapevolezza carichi di ulteriore ambiguità l’immagine fotografica.

L’autore è presente come ombra, come immagine specchiata, come doppio, nell’universo delle cose; un modo per esprimere, seguendo l’invenzione di Man Ray, l’ambiguità della presenza/assenza del fotografo alle “cose”.[2]

Sono affascinato dal senso compositivo di Friedlander.
Quel tubo di gomma che racchiude nella sua spirale il volto della giovane operaia, assecondando l’inclinazione del volto e delle braccia, trovo che sia qualcosa di sublime. In questo puzzle che il fotografo sembra comporre a partire dalla scena iniziale, possiamo vedere la precisa collocazione delle varie tessere:l’uomo vestito di bianco, perfettamente inscritto nel telaio della porta, il volto dell’automobilista incastonato tra il lunotto e il finestrino, sono degli esempi calzanti ma tutti i volumi della composizione delle varie foto esprimono un equilibrio pressoché perfetto.


NOTE
[1] Ugo Mulas, La Fotografia, Einaudi, 1973, pag 8
[2] Arturo CarloQuintavalle, Messa a Fuoco, Feltrinelli Campi del Sapere, 1983, pag. 182

Bibliografia:
Arturo Carlo Quintavalle, Messa a Fuoco, Appunti sulla Fotografia, Feltrinelli 1983
Ugo Mulas, La Fotografia, Einaudi 1973

Fotografie di Lee Friedlander

Pubblicato su Camera Obscura il 27 maggio 2007


1 commento:

Anonimo ha detto...

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