18 giugno 2008
25 maggio 2008
21 maggio 2008
19 maggio 2008
La musica è...
Quando mangio, mangio, quando faccio l’amore, faccio l’amore, quando suono, suono
nell'espressione artistica non esiste alcun rapporto di simbolo tra un contenuto e una forma distinti l'uno dall'altra: non si esprime qualche cosa –e sia pure un valore spirituale- per mezzo della musica, ma la musica è questo valore spirituale nella sua unica veste ed espressione possibile. La musica non esprime che se stessa, anche se il termine "espressione" ha appunto questo di pericoloso, che facilmente induce a pensare di una duplicità della cosa da esprimere e del "mezzo" per esprimerla
Ho questo clarinetto nuovo, appena acquistato da un bellissimo negozio specializzato in strumenti a fiato. Sassofoni trombe, flicorni, flauti, oboi e clarini riempivano gli scaffali e deliziavano i miei occhi.
Ho un locale nel quale esercitarmi tutte le volte che ne ho bisogno, senza recare disturbo a chicchessia.
E ho, soprattutto, un piccolo desiderio: percorrere quella scalinata fino alla torre dell’Alto e da lì, dai piedi dell’imponente torre aragonese a picco sull’azzurro infinito del mare, quel mare che si insinua con rapidi tentacoli tra il rosso vivo di terra e il verde intenso della grande pineta, sedermi al limite della roccia e suonare. Voglio ascoltare il suono del clarinetto che si perde nell’aria, godere di quel soffio che dalla pancia ritorna al mondo e sentire che la musica, in fondo, altro non è che tirar fuori dalla pancia qualcosa che appartiene all’universo, per restituirglielo.
La musica è una restituzione, un debito che si salda, il ripristino di un equilibrio perduto.
Uno strumento musicale finisce per diventare parte di te, un’estensione del tuo corpo al punto da percepire il disagio di una mancanza vitale tutte le volte che va a riporsi nella sua custodia.
Letture
Viaggio a Finibusterrae. Il Salento fra passioni e confini., Antonio Errico, Manni
Ascolti
Canto d’ebano, Gabriele Mirabassi, Egea
Immagini
1-Onde
2-Onde
3-La mia mano, il mio clarinetto (foto rodolfo)
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12 maggio 2008
La merce
Il concetto di fiera, dal punto di vista etimologico, è connesso a quello di mercato, quindi a merce. Luogo ove si scambia merce con merce o merce con denaro.
E’ un concetto arcaico, non necessariamente connaturato a quello di capitalismo, dunque.
Ai tempi della mia giovinezza si teneva annualmente, nel paese che mi ha visto nascere, una fiera mercato del tacchino, evento atteso con ansia da noi bambinetti impegnati ad avvicinarci alle gabbie dei pennuti per spennarli al fine di esibire le penne strappate a mo’ di trofeo.
Fiera del Libro: mercato e cultura.
Cultura?
Al cancello d’ingresso, alcuni sostenitori del boicottaggio verso Israele cercavano di consegnare un volantino a un tipo che, rifiutandolo sdegnosamente, li apostrofava veementemente come nazisti ricevendo un immediato appellativo di fascista vero.
Biglietto di ingresso salato. Ho pagato 21 euro per il sottoscritto, consorte e figliole a seguito. Questa cifra pone immediatamente una discriminante economica tra una parte (io tra questi) che può permettersi di pagarla e quindi può permettersi l’accesso alla cultura (sigh…) e una parte della popolazione che da questa cultura è esclusa avendo ben altre priorità economiche.
Appena entrati in questo enorme girone infernale dove stand e posti ristoro erano disposti esattamente come nella vecchia fiera dei tacchini dei miei ricordi, la prima cosa che mi ha colpito in quell’enorme deposito informe e insignificante di libri, è stata l’assenza del Libro. Vi erano due tipi di stand: quelli che sembravano bancarelle da libri usati da festival dell’Unità e quelli tipo Treccani o Einaudi che esibivano tanta pomposità e arredi finto lusso vero polistirolo. Una Fiat Croma in esposizione, stand istituzionali o adibiti a promozione turistica. Ogni tanto, qualche patetico scrittore, seduto dietro la bancarella, intento ad elemosinare uno sguardo riconoscente, un sorriso, due parole di conforto, qualche copia venduta con lo sconto del venti per cento o con la formula “compri tre quello che costa di meno te lo regaliamo” oppure “compri due paghi uno”.
Dicevo: assenza del libro. In questa disordinata e obesa quantità si finiva per perdere il senso del reale e il filo di ogni possibile tentativo di mettere a fuoco un possibile percorso critico. Era evidente che ciò che guidava il tutto era pura esigenza commerciale.
In qualche stand erano in corso supplichevoli presentazioni alle quali ho accuratamente evitato di soffermarmi anche perché in quel contesto, migliaia di individui, bambini urlanti, e ogni tipo di disturbo audio video, il patetico tentativo di impostare un qualunque discorso intorno a un libro si rivelava miseramente velleitario.
Ho rischiato, fra l’altro, di essere sepolto sotto quintali di depliant di ogni tipo.
Alla fine è emersa chiara in me l’inutilità di questa manifestazione alla quale credo non tornerò tanto facilmente.
Tornando al punto di partenza, credo che l’acceso dibattito sorto intorno alla presenza o meno dello stato di Israele in questa manifestazione fieristica sia stato, tutto sommato, l’ennesimo momento di velleitarismo culturale.
Nell’ambito di una fiera mercato quale di fatto è questa di Torino, parlare di politica o di storie di popoli è attività decontestualizzata, stridente col contorno. Molto più appropriato parlare di merce, mercato, prostituzione culturale.
Sarò ben felice di tornare al più presto alla mia solita vecchia, piccola libreria .
Ascolto
Kokani Orkestar meets Paolo Fresu e Antonello Salis Live, Il Manifesto 2007 (comprato allo stand de Il Manifesto)
Immagini
Scattate al volo dal sottoscritto a passeggio tra gli stand
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