Carne venduta
Con i piedi e la vita ben piantati per terra: il modo per tenere salda la propria memoria.
Ho sempre avvertito, del resto, un legame profondo con la terra che ho sempre considerato la mia vera madre. Non è a caso che ho scelto di assegnare al blog un nome che evoca l’origine più profonda a cui sento di appartenere.
C’è un libro splendido di Uccio Aloisi, il cantore salentino. Si intitola: I colori della terra ed esprime con efficacia il legame profondo che un’esistenza può esprimere con la terra che l’ha generata, sia in senso culturale quanto in senso propriamente geografico. E questo legame si esplica come una musica suadente, un background emozionale e toccante. Il libro è in forma di intervista ed è scritto tutto in dialetto salentino con la traduzione affidata a un CD allegato.

L’incipit della prefazione di Sandro Portelli:
Si dice che gli eschimesi abbiano trenta nomi diversi per la neve. Uccio Aloisi ha quattordici nomi diversi per nominare la terra: per la “carne venduta” che la terra la apre con la zappa e la scava nelle cave di tufo, la terra è molteplice e dai suoi colori dipende la vita. Per questo, bisogna imparare a vederli, e saperli nominare: terra nera, nera pignatara, petruddharu, chianca, pilumafu, crita arenusa, crita bona, crita turchina, cuzzaru, sapunara, crugnu, tufu niuru, tufu russu, petra bianca…
Sapere i colori della terra è necessario anche perché, dice Uccio Aloisi, “ognuno forma il diario in base a quanto nasce sulla faccia della terra”.
Credo che uno dei danni che la cosiddetta modernità abbia indotto all’uomo è proprio la recisione di questo legame profondo e l’impossibilità di adeguare il proprio diario a ciò che nasce dalla terra.

Vorrei essere fieno sul finire del giorno
Portato alla deriva
Fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
Che arriva in un paese dopo il tramonto
In un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
Quello stretto cunicolo in cui il giorno
Vacilla: è un’ora
Che è peggio solo morire, e sola luce
È accesa in piazza una sala da barba,
il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
di questi umili luoghi dove termini,
meschinamente, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
E’ qui che i salentini dopo morti
Fanno ritorno
Col cappello in testa.
Un artista della Murgia percuoteva con dei sassi un lungo parallelepipedo di roccia calcarea, appeso a una trave tramite un gancio di acciaio producendone un suono cupo e melodioso. Sosteneva essere il suono del tempo, sedimentato in quella roccia nel suo implacabile passaggio. I tuoni, il frusciare delle foglie, il vento, i silenzi infiniti. Tutti racchiusi in quella roccia ed evocati dal percuotere ritmico di quei sassi.
Quanto è vero!

Bibliografia
Uccio Aloisi, I colori della terra, a cura di Roberto Raheli, Vincenzo Santoro, Sergio Torsello, Ed. Aramirè 2004
Immagini
1-Copertina del libro: I colori della terra
2-Muro a secco (foto Rodolfo Marotta)
3-foto Carrafa 1960

2 commenti:
Immagine di donna, dal volto vissuto e scavato dalle fatiche della terra, che da essa ha tratto l'orgoglio e la dignità, per lei e come dote per le figlie. Sulla (sua) rossa terra salentina salta e gioisce come una bambina, a dispetto dell'età. Terra come ricordo, dignità, donatrice di frutti, perchè di doni, appunto, si tratta.
Terra come parte costitutiva di noi stessi, stessa materia della quale siamo fatti. Il legame è molto più profondo di quanto ancora riusciamo a immaginare.
A presto.
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