01 gennaio 2008

Carne venduta

Con i piedi e la vita ben piantati per terra: il modo per tenere salda la propria memoria.
Ho sempre avvertito, del resto, un legame profondo con la terra che ho sempre considerato la mia vera madre. Non è a caso che ho scelto di assegnare al blog un nome che evoca l’origine più profonda a cui sento di appartenere.
C’è un libro splendido di Uccio Aloisi, il cantore salentino. Si intitola: I colori della terra ed esprime con efficacia il legame profondo che un’esistenza può esprimere con la terra che l’ha generata, sia in senso culturale quanto in senso propriamente geografico. E questo legame si esplica come una musica suadente, un background emozionale e toccante. Il libro è in forma di intervista ed è scritto tutto in dialetto salentino con la traduzione affidata a un CD allegato.

L’incipit della prefazione di Sandro Portelli:

Si dice che gli eschimesi abbiano trenta nomi diversi per la neve. Uccio Aloisi ha quattordici nomi diversi per nominare la terra: per la “carne venduta” che la terra la apre con la zappa e la scava nelle cave di tufo, la terra è molteplice e dai suoi colori dipende la vita. Per questo, bisogna imparare a vederli, e saperli nominare: terra nera, nera pignatara, petruddharu, chianca, pilumafu, crita arenusa, crita bona, crita turchina, cuzzaru, sapunara, crugnu, tufu niuru, tufu russu, petra bianca…
Sapere i colori della terra è necessario anche perché, dice Uccio Aloisi, “ognuno forma il diario in base a quanto nasce sulla faccia della terra”.

Credo che uno dei danni che la cosiddetta modernità abbia indotto all’uomo è proprio la recisione di questo legame profondo e l’impossibilità di adeguare il proprio diario a ciò che nasce dalla terra.


Vorrei essere fieno sul finire del giorno
Portato alla deriva
Fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
Che arriva in un paese dopo il tramonto
In un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
Quello stretto cunicolo in cui il giorno
Vacilla: è un’ora
Che è peggio solo morire, e sola luce
È accesa in piazza una sala da barba,
il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
di questi umili luoghi dove termini,
meschinamente, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
E’ qui che i salentini dopo morti
Fanno ritorno
Col cappello in testa.

[Vittorio Bodini]


Un artista della Murgia percuoteva con dei sassi un lungo parallelepipedo di roccia calcarea, appeso a una trave tramite un gancio di acciaio producendone un suono cupo e melodioso. Sosteneva essere il suono del tempo, sedimentato in quella roccia nel suo implacabile passaggio. I tuoni, il frusciare delle foglie, il vento, i silenzi infiniti. Tutti racchiusi in quella roccia ed evocati dal percuotere ritmico di quei sassi.
Quanto è vero!

Bibliografia
Uccio Aloisi, I colori della terra, a cura di Roberto Raheli, Vincenzo Santoro, Sergio Torsello, Ed. Aramirè 2004

Immagini
1-Copertina del libro: I colori della terra
2-Muro a secco (foto Rodolfo Marotta)
3-foto Carrafa 1960

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Immagine di donna, dal volto vissuto e scavato dalle fatiche della terra, che da essa ha tratto l'orgoglio e la dignità, per lei e come dote per le figlie. Sulla (sua) rossa terra salentina salta e gioisce come una bambina, a dispetto dell'età. Terra come ricordo, dignità, donatrice di frutti, perchè di doni, appunto, si tratta.

Rodolfo Marotta ha detto...

Terra come parte costitutiva di noi stessi, stessa materia della quale siamo fatti. Il legame è molto più profondo di quanto ancora riusciamo a immaginare.
A presto.